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La Machine Translation e il Machine Translation Post-Editing sono argomenti che dividono i traduttori: c’è chi accoglie di buon grado i progressi della tecnologia applicati alla MT e offre anche il servizio di MTPE e chi invece tende a essere più diffidente, identificando MT e MTPE come “nemici” da cui tenersi in guardia. Abbiamo fatto una chiacchierata con Maria Sgourou, traduttrice tecnica con 20 anni di esperienza e appassionata di tecnologia, per cercare di fare un po’ di chiarezza e sfatare alcuni miti ricorrenti.

Machine Translation = Google Translate

Questa (falsa) credenza si è diffusa grazie a siti o social media famosi (Facebook, tanto per citarne uno) che hanno dei propri motori per tradurre automaticamente i loro contenuti. Anche lo stesso Amazon ha il proprio motore di MT, Amazon Translate. Quindi il loro approccio si centra più sulla comunicazione generica e non sulla cura particolare dell’aspetto linguistico e c’è anche da prendere in considerazione che i grossi volumi di dati non sono facili da gestire.

Tali motori, accessibili gratuitamente, sono però, appunto, generici e i loro dati non sono curati adeguatamente per poter restituire un output giusto e di alta qualità. È il cosiddetto principio del “garbage in, garbage out“: se i dati immessi nel motore di MT non vengono curati, la traduzione automatica risulta scadente. La MT è tutt’altro: è frutto di dati curati e di motori addestrati non di certo in modo generico e approssimativo.

machine translation post-editing

Le macchine ci ruberanno il lavoro

Affinché un motore di Machine Translation dia un output buono, bisogna addestrarlo con dati linguistici elaborati, curati e controllati; affinché questi dati siano tali, è imprescindibile la figura del linguista che quindi servirà sempre, se non altro per educare la macchina.

Ovviamente, come in tutti i lavori, alcune figure appartenenti all’ambito della traduzione potranno non esistere più tra qualche anno (per esempio, i traduttori che non si adattano alla tecnologia e ai CAT), ma ciò non significa che non ci sarà più bisogno di traduttori o di linguisti. Anzi, con l’avvento della Machine Translation sono comparse ben tre figure professionali nuove nel settore linguistico: quella che si occupa di pre-editing, ovvero di mettere a posto il testo che verrà poi “dato in pasto” alla macchina; quella che dà una valutazione umana dell’output della Machine Translation e infine il post-editor, che si occupa di sistemare l’output.

Il MTPE è una traduzione sottopagata

Innanzitutto, Machine Translation Post-Editing non è sinonimo di traduzione. Per poter offrire il servizio di MTPE, un linguista deve aver ricevuto la formazione adeguata: deve sapere come funziona la Machine Translation, deve sapere di dover cercare determinati errori e di dover essere in grado di trovare quelli che vengono ripetuti nel testo (perché un essere umano non fa sempre lo stesso errore, ma una macchina sì). Deve acquisire la capacità di gestire tool di elaborazione di testo e terminologia ed essere esperto di CAT tra altre cose. È una disciplina a parte, non facile tra l’altro, e non è detto che un traduttore sia in grado di occuparsi anche di post-editing.

Il falso mito dello “sfruttamento”, probabilmente, si è diffuso perché alcuni grandi LSP e alcune grandi agenzie si sono servite della MT per contenere i costi, sbagliando: la MT non è fatta per contenere i costi, bensì per velocizzare il lavoro. Il volume di contenuti esistenti da tradurre è talmente grande che la MT è stata pensata per velocizzare il processo, non per “sottopagare” i linguisti.

Quali sono dunque i parametri da calcolare per stabilire un preventivo per un lavoro di post-editing? La qualità dell’output della macchina e il tipo di intervento che il cliente richiede su di esso: se l’output è buono bisognerà intervenire con un light post-editing, magari senza ricerca terminologica, che può portare a una produttività di circa 1000 parole l’ora, se non di più; se l’output è meno buono bisognerà fare heavy post-editing e questo cambierà il calcolo delle tempistiche.

Ormai i clienti conoscono il MTPE, sanno quello che vogliono e forniscono output buoni e misurati e guide di stile; se non lo fanno, il preventivo andrà regolato di conseguenza. È il cliente che stabilisce le regole del post-editing fornendo linee guida sullo scopo del MTPE: se non ci si attiene a esse, si finisce per lavorare di più e, di conseguenza, sembra di non essere pagati abbastanza. È per questo motivo che i linguisti devono conoscere bene questo tipo di attività ed essere formati adeguatamente, altrimenti tenderanno a fare over-editing, ovvero più di quanto è stato loro richiesto. Ci vuole flessibilità e abbandono della tendenza, umana e legittima, a sistemare “anche le virgole”, tipica del traduttore.

Dunque, il MTPE non è un lavoro mal retribuito, bensì un servizio diverso e un altro modo di lavorare, soggetto a parametri talmente vari che viene regolato dall’ISO 18587:2017. Per ricollegarci al primo falso mito, MTPE non vuol dire inserire un testo in Google Translate e poi farlo sistemare al post-editor: questo è sbagliato, non va considerato nemmeno come MTPE e non bisogna accettare lavori del genere.

Un lavoro di MTPE non ha la stessa qualità di una traduzione umana

Questa convinzione deriva dalla tendenza a mettere a confronto la traduzione di un traduttore umano con quella di una macchina, che sono due cose completamente diverse. Inoltre, nonostante poi la MT venga sistemata da un post-editor, si pensa che, essendo comunque il prodotto originale frutto di una macchina, la qualità rimanga bassa, non considerando né comprendendo tutti i parametri del post-editing.

Questa denigrazione della MT spesso parte da una predisposizione negativa nei confronti dell’innovazione tecnologica (in questo caso della MT) purtroppo ancora tipica del settore traduttivo: i traduttori non sono sempre contenti delle nuove tecnologie e fanno fatica a uscire dalla loro zona di confort.

Il concetto di qualità, invece, è legato alla teoria dello skopos di Hans J. Vermeer, secondo la quale ogni testo che traduciamo ha uno scopo, si rivolge a un determinato pubblico e deve soddisfare una particolare necessità (informativa, divulgativa, ecc.). Anche gli output della Machine Translation e il relativo post-editing si basano su questa teoria, e la qualità del lavoro finale va sempre calibrata e valutata in base allo skopos del testo e alle linee guida che il cliente dà per raggiungere tale scopo. Dunque, non bisogna criticare chi magari ha avuto esplicita richiesta di fare light post-editing e giudicarlo come lavoro di bassa qualità, perché il post-editor ha semplicemente seguìto le linee guida. Possiamo quindi affermare che “la qualità è negli occhi di chi guarda”.

Le applicazioni di MT sono solo per le grandi aziende e i grandi LSP

Più che un falso mito, questa è un’affermazione non più vera (al contrario di qualche anno fa). Ormai anche i freelance possono utilizzare buoni motori di Machine Translation in base al proprio budget e alle esigenze del proprio percorso professionale: esistono sia soluzioni molto economiche sia soluzioni custom che costano un po’ di più. È anche possibile integrare questi motori ai propri CAT preferiti: basti pensare alla API di DeepL per SDL Trados Studio o all’integrazione a pagamento dello stesso DeepL su Smartcat.

Vi segnaliamo anche che insieme a Maria abbiamo organizzato il corso online “Machine Translation senza paura”, disponibile gratuitamente sulla nostra piattaforma di e-learning.

Quanto ne sapete sull’attività di Machine Translation Post-Editing? Qual è il vostro approccio a riguardo? Fatecelo sapere nei commenti.

Martina Stea
Martina Stea

Romana, classe 1987, consegue la Laurea magistrale in Letterature e traduzione interculturale nel 2012 presso l’Università degli Studi Roma Tre. Nel 2017 consegue un Master in Traduzione specializzata tecnico-scientifica nelle combinazioni linguistiche EN>IT ed ES>IT, presso l’Agenzia formativa tuttoEUROPA di Torino. Da allora è felicemente una traduttrice freelance, ma da ottobre 2018 fa anche dell’altra sua passione un lavoro: tra una traduzione e l’altra, infatti, Martina gira il mondo zaino in spalla come coordinatrice di viaggi di gruppo. La sua ambizione è diventare quanto più nomade digitale possibile.

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