Lo scorso 23 ottobre ho partecipato alla nona edizione del Freelancecamp, tenutasi online anziché a Roma per le ragioni che ormai tutti conosciamo.

Cristina Scaraffia e Letizia Palmisano, con i loro interventi, mi hanno fatto riflettere sul rapporto tra freelance e clienti, in particolare sull’importanza di avere una buona metodologia in fase di negoziazione e, qualora quest’ultima vada a buon fine, di saper “dettare le proprie regole” con consapevolezza e umanità affinché la relazione lavorativa sia felice e si mantenga nel tempo. Cristina ha illustrato un vero e proprio metodo scientifico, mentre Letizia ha consigliato un suo personale, e utilissimo, decalogo.

“Happy-happy: il metodo svedese per una negoziazione soddisfacente” (Cristina Scaraffia)

Il metodo Happy-happy nasce in Svezia ed è supportato da ricerche empiriche. Si basa su meccanismi inconsci dell’uomo (che sappiamo bene essere “l’animale sociale”) e li fa diventare consapevoli. Tali meccanismi, nel processo della negoziazione, si articolano in cinque fasi:

  • Positività: se siamo di buon umore, andiamo più d’accordo col nostro interlocutore (in questo caso il cliente) e tutto cambia in meglio, compreso il linguaggio non verbale.
  • Riflessione: fa parte della fase preparatoria, fondamentale in tutte le negoziazioni. Sono due le domande sulle quali questo metodo suggerisce di riflettere: “Cosa voglio?” e “Quali alternative ho?”. Possiamo aiutarci a rispondere alla prima in tre modi: scrivendo su un foglio in una frase il nostro obiettivo, in modo da rimanere concentrati su di esso resistendo alle eventuali pressioni esterne; dedicare un minuto del nostro tempo a chiederci cosa vuole il cliente, sviluppando curiosità verso la sua prospettiva e acquisendo un atteggiamento non competitivo, bensì collaborativo; stilare una lista di priorità, nostre e del cliente… chissà che non si trovino più punti in comune di quanti pensavamo di avere e che l’accordo non finisca con l’essere davvero soddisfacente! Per rispondere alla seconda domanda, invece, è bene mettere in gioco le nostre capacità di problem solving e di pensiero laterale, ma anche fare ricerche, studiare e raccogliere informazioni. Sciogliendo questi quesiti prima dell’effettiva negoziazione, quest’ultima sarà efficiente anche quando poi si passerà dal piano razionale a quello emotivo.
  • Costruire una buona relazione: dobbiamo creare le condizioni affinché il cliente sia aperto e disponibile alle nostre proposte, dobbiamo “meritarci” di essere ascoltati. Del resto, la negoziazione parla di futuro: dal momento in cui il cliente accetta il nostro preventivo, inizia il lavoro insieme, la collaborazione. È quindi un inizio, non un punto di arrivo. E come ogni buona relazione che si rispetti, la fiducia è fondamentale. Come anche è fondamentale fare domanda e ascoltare in maniera attiva e interessata, mostrando un’empatia genuina. Solo in questo modo la collaborazione non solo inizierà ma perdurerà.
  • Scegliere le parole giuste: le parole sono importanti (e chi lo sa meglio di noi traduttori?), perciò bisogna sceglierle con cura. Una volta individuati i nostri bisogni e le nostre alternative nella fase preparatoria, bisogna saperli esprimere con chiarezza e senza paura, anche se ci sono fattori di rischio. Bisogna dare 2 o 3 alternative al massimo al cliente, per restare fermi sui nostri bisogni pur rimanendo creativi e aperti alle sue proposte. In tutto ciò, dobbiamo saper mettere da parte ciò che rischia di rovinare ogni sforzo fatto finora: l’orgoglio.
  • Avere un piano B: può capitare che, durante la negoziazione, possa prevalere l’emotività. In questo caso, possiamo tentare di arginare la situazione con tre tecniche: fare una domanda precisa e pacata, che sia sincera e non ironica né sarcastica, in modo da riattivare la razionalità; fare “judo verbale”, ovvero non opporre resistenza ma accompagnare l’attacco o la critica del cliente, dandogli modo di spiegarsi; far sfogare l’emozione rimanendo calmi, restituendogliela senza sminuirla ma facendogliela vedere dall’esterno, utilizzando la tecnica del “so you…” (“quindi tu mi stai dicendo che…”). Se questi tentativi non funzionano e il cliente si rifiuta di cedere, non ci resta che sfoderare il nostro piano B.

A primo impatto può sembrare un processo faticoso, ma rendendo consci i meccanismi umani innati, possiamo riuscire nelle nostre negoziazioni avviando collaborazioni lavorative solide.

“10 cose da dire ai clienti (e a noi stessi) per un rapporto duraturo” (Letizia Palmisano)

Anche secondo Letizia Palmisano la chiarezza, col cliente e con noi stessi, è uno dei pilastri di un rapporto di lavoro gratificante. Il suo decalogo è molto schietto ma utile per tenere alta la qualità della nostra vita lavorativa.

  • “Gratis non si lavora ma si ozia”: il lavoro, in quanto tale, va retribuito. Le uniche eccezioni sono il volontariato e la beneficenza, ma devono essere una scelta esclusivamente nostra. E cosa dire a quei clienti che si offrono di “ripagarci in visibilità”? Dobbiamo prima far loro dimostrare che siamo invisibili.
  • “Siamo cari perché siamo bravi!”: non è vero, ovviamente, che siamo cari (mentre è vero che siamo bravi!). Ognuno di noi deve riconoscere il proprio valore e mai sminuirlo. Sicuramente una frase del genere consente di fare una prima e importante scrematura, escludendo già quei clienti sempre alla ricerca dell’offerta migliorativa in termini di prezzo.
  • “Il nostro è un lavoro sartoriale”: un preventivo e/o un lavoro per un cliente non è “riadattabile” per un altro, soprattutto nei mestieri che appartengono all’ambito della comunicazione (e noi traduttori sappiamo bene anche questo, sempre alle prese con tipi di testo diversi, tempistiche diverse e dispendi energetici diversi da progetto a progetto).
  • “Qual è il budget?” o, eventualmente, “Qual è il minimo e il massimo?”: bisogna cercare l’elemento di certezza per capire le aspettative del cliente. Spesso, queste vengono tenute nascoste, soprattutto se il cliente non ci conosce e ancora non è entrata in gioco la suddetta fiducia. È solo capendole, però, che possiamo fare una proposta in linea con esse.
  • “Non mi sparire!”: sempre ai fini di andare incontro alle esigenze del cliente, è necessario spiegargli la necessità di un rapporto costante, magari all’inizio più stretto e poi meno, ma comunque continuo.
  • Inviare 2 proposte, meglio 3. Se il cliente non ha comunicato un budget, è utile fare più preventivi, anche e soprattutto nel caso in cui potremmo aver bisogno di collaboratori che ci affianchino per portare a termine il lavoro. In questo modo, possiamo fargli capire ciò che c’è dietro al nostro lavoro, valorizzandolo.
  • “Un lavoro ben fatto, prima di subito e assolutamente economico non è possibile!”: è vero, bisogna capire le priorità del cliente, ma dobbiamo riportarlo all’elemento realtà. Un lavoro fatto bene ed economico non sarà mai veloce, uno veloce e fatto bene non sarà mai economico (proprio perché sicuramente avremo bisogno di pagare uno o più collaboratori) e uno economico e veloce non sarà mai fatto bene. In quest’ultimo caso, Letizia Palmisano consiglia di non accettare (consiglio che mi trova d’accordo!): anche se il cliente ci aveva detto che sarebbe andato bene un lavoro non perfetto, la realtà è che alla fine non sarà comunque soddisfatto, noi avremo lavorato di fretta e male dal punto di vista emotivo e avremo rovinato la nostra reputazione.
  • Comunicare al cliente strumenti e orari di comunicazione: è fondamentale stabilire con che mezzi (messaggistica istantanea? Posta elettronica? Telefono? La scelta è nostra ma va chiarita subito) e in che momenti della giornata rendersi disponibili al cliente, sia per dedicargli il tempo di qualità che merita, sia per riuscire a ritagliarci tempo libero per noi stessi, per coltivare gli interessi e le attività che ci piacciono e che ci permettono di staccare la spina, in modo da essere più produttivi e rendere meglio quando ci rimettiamo al lavoro.
  • Non violare il punto precedente col cliente: è giusto porre dei limiti ma dobbiamo rispettarli a nostra volta.
  • “Ai clienti ho detto cos’altro so fare?”: se il cliente ci contatta per un determinato servizio, non è detto che non possa, ora o in futuro, aver bisogno di altri servizi. È bene fare buona pubblicità a noi stessi, elencando già da subito tutto ciò che possiamo offrire e magari far diventare il cliente un “cliente due (o più) volte”.

È facendo via via più nostri i concetti di chiarezza, ascolto, empatia e fiducia che avremo maggiori possibilità di iniziare, e alimentare nel tempo, relazioni lavorative basate su collaborazione, reciprocità e parità.

E voi, siete d’accordo sul metodo “Happy-happy”? Aggiungereste altro al decalogo? Fatecelo sapere nei commenti.

Martina Stea

Romana, classe 1987, consegue la Laurea magistrale in Letterature e traduzione interculturale nel 2012 presso l'Università degli Studi Roma Tre. Nel 2017 consegue un Master in Traduzione specializzata tecnico-scientifica nelle combinazioni linguistiche EN>IT ed ES>IT, presso l’Agenzia formativa tuttoEUROPA di Torino. Da allora è felicemente una traduttrice freelance, ma da ottobre 2018 fa anche dell'altra sua passione un lavoro: tra una traduzione e l'altra, infatti, Martina gira il mondo zaino in spalla come coordinatrice di viaggi di gruppo. La sua ambizione è diventare quanto più nomade digitale possibile.

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